
Come è stato evidenziato da alcuni esperti, la parità di genere non è unicamente un diritto umano fondamentale, ma è anche lo strumento di un’economia prospera e moderna.
Il nostro Paese è purtroppo 126simo al mondo per disparità salariale. Nel 2016 infatti, in Italia, il genere femminile ha percepito mediamente retribuzioni del 12% più basse rispetto a quello maschile, e tra i laureati il divario sale addirittura al 30%.
I contratti nazionali di categoria tutelano il minimo contrattuale, però c’è un trucco. E si chiama “super minimo”. Così capita, ed è la norma, che il super minimo (discrezionale) venga dato soprattutto agli uomini.
Più alto è il ruolo ricoperto, più grosso è il divario. Nelle retribuzioni più alte il divario arriva al 17% in meno degli uomini.
Partendo da questi dati, la parlamentare del Movimento 5 Stelle, Tiziana Ciprini, è la prima firmataria di una proposta di legge, il cui obiettivo è quello appunto di ridurre il gap retributivo tra i uomini e donne. Proposta al momento in corso di esame in Commissione Lavoro alla Camera, e che ha per oggetto la modifica all’articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna.
L’articolo 46 prescrive alle aziende con più di 100 dipendenti di redigere un rapporto biennale sui vari aspetti inerenti le pari opportunità sul luogo di lavoro, inclusa la retribuzione. Ma oggi non esiste un modo per sapere quali aziende abbiano redatto il rapporto e quali no, quali siano state sanzionate, né i dipendenti delle aziende hanno modo di accedervi per verificare eventuali discriminazioni. La proposta di legge si ispira ad altre normative in vigore nei paesi europei che fanno leva sulla BRAND REPUTATION e sulla trasparenza nella comunicazione dei dati per innescare un processo virtuoso all’interno delle aziende al fine di ridurre le disparità di genere. Rilevante l’esperienza del Regno Unito, che prevede dal 2017 un obbligo per le aziende con più di 250 dipendenti di stilare un rapporto sul gender pay gap e richiede che le aziende stesse pubblichino alcuni loro dati, espressamente elencati dalla legge, su un portale dedicato al gender pay gap reporting
Il provvedimento nel suo insieme ha molteplici finalità:
- Perseguire la parità di genere e le pari opportunità nel campo lavorativo e professionale tra uomini e donne;
- Eliminare le discriminazioni e le disuguaglianze nel campo lavorativo tra uomini e donne;
- Eliminare gli svantaggi o le limitazioni di carriere per le donne nel campo lavorativo;
- Introdurre le pari opportunità tra uomini e donne sia nel settore pubblico che in quello privato;
- Perseguire il principio della pari opportunità salariale e retributiva tra uomini e donne nel campo lavorativo;
- Introdurre un sistema obbligatorio di verifica e monitoraggio di effettiva parità tra uomini e donne nel campo lavorativo;
- Obbliga le aziende pubbliche e private a prevedere pari opportunità per uomini e donne nel campo del lavoro;
- Prevedere un premio per le aziende e i datori di lavoro che si attivano affinchè venga fornita pari opportunità tra uomini e donne con riconoscimenti anche di sgravi contributivi;
- Porre fine a queste disuguaglianze di trattamento tra donne e uomini nel campo del lavoro e professionale e riconoscere il valore delle donne nel campo lavorativo;
- Introdurre un continuo e costante monitoraggio circa la situazione del personale (tra uomo e donna) nei luoghi di lavoro pubblici e privati.
- Eliminare definitivamente il gap retributivo e salariale tra uomo e donna;
- Favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per realizzare pienamente la conciliazione tra i tempi vita/lavoro;
- Favorisce la parità di carriera tra uomo e donna eliminando il divario retributivo e salariale.
Il provvedimento si muove quindi secondo due direttrici. La prima prevede misure per contrastare il gap retributivo di genere, con premi per le aziende che rimuovono le discriminazioni. La seconda punta a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e realizzare pienamente la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.
La proposta di legge interviene inoltre proprio per colmare lacune dell’attuale normativa sul divario retributivo.
Attualmente, infatti, l’adozione delle “azioni positive” costituisce una facoltà per i datori di lavoro a cui non corrisponde alcun diritto della lavoratrice all’attivazione di programmi che rendano effettive le Pari opportunità.
Per azioni positive, previste dall’attuale art. 42 del Codice Pari Opportunità, si intendono quelle misure che hanno lo scopo di eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità. Azioni che promuovono l’inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali sono sotto-rappresentate. Ma la norma non presuppone degli obblighi da parte del datore del lavoro. E la tutela contro le discriminazioni rimane solo sulla carta, e spesso e volentieri non si concretizza in una misura incisiva.
Con questa proposta di legge vengono introdotti nel Codice delle Pari Opportunità anche gli atti di natura organizzativa e oraria. Questi possono mettere in condizione di svantaggio la lavoratrice o ne limitano, nei fatti, lo sviluppo di carriera. Nella proposta è previsto un “regime di comunicazioni” secondo cui le imprese devono rendere noti ogni anno i dati sulle retribuzioni e bonus pagati ai dipendenti.
Per ottenere i vantaggi di legge, le imprese private con oltre 15 dipendenti e le amministrazioni pubbliche dovranno sottoporre annualmente a verifica il ‘Piano di Azioni’. Questo serve a prevenire qualsiasi forma di discriminazione nell’accesso al lavoro, nella promozione e formazione professionale, oltre a garantire il diritto alla parità di retribuzione e superare condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro. Oltre a ciò, sono previsti degli sgravi contributivi triennali per le imprese che non licenziano le dipendenti diventate mamme. E un premio retributivo da 150 euro mensili per quelle donne che decidono di non abbandonare il posto dopo la nascita del proprio figlio.
Viene proposto inoltre l’introduzione di un curriculum anonimo, sulla scia delle esperienze già intraprese in Europa da Spagna, Regno Unito, Francia, Germania, Olanda e Svezia. Questo serve a combattere le discriminazioni non solo contro le donne, ma anche quelle verso gli over 50 e altri soggetti svantaggiati. Lo scopo è quello di far valere le skills, a garanzia di un’effettiva parità nei processi di selezione e assunzione. Nel curriculum va infatti omesso ogni riferimento personale (nome, sesso, data di nascita, situazione familiare, fotografie), e si configura con la sola espressione di profilo, formazione, esperienze lavorative, competenze, conoscenze, capacità e attitudini professionali.