
In occasione della giornata internazionale dedicata alla donna, è importante ricordare quanto fatto fino a qui , ma anche quanto ancora ci proponiamo di fare.
L’azione del Movimento 5 Stelle rispetto alla condizione della donna si concentra su tre temi principali: combattere e prevenire la violenza di genere, incentivare forme di flessibilità lavorative atte a conciliare casa-lavoro, e sollecitare costantemente e particolarmente media e scuola affinchè si eviti il diffondersi di una comunicazione impregnata di stereotipi di genere.
L’urgenza di agire rispetto alla violenza di genere è palese. L’ISTAT ha fornito una fotografia drammatica: secondo i dati diffusi, circa il 21 per cento delle donne italiane – pari a 4,5 milioni – è stato costretto a compiere atti sessuali e 1 milione e mezzo ha subìto la violenza più grave: 653.000 donne vittime di stupro e 746.000 vittime di tentato stupro. I numeri forniti dal Ministero dell’interno ad agosto 2017 segnalano un generale calo di alcuni delitti, con una diminuzione pari al 12 per cento.
A rimanere stabile è soltanto il numero degli stupri: la statistica parla di una riduzione dello 0,5 per cento quindi, in sostanza, inesistente, a fronte anche del fatto che secondo le statistiche 9 donne su 10 non denunciano ciò che hanno subìto, anche e soprattutto, tra le mura domestiche.
E a far paura è anche l’analisi di un fenomeno che coinvolge spesso i minorenni. Nel 2015 il Ministero della giustizia aveva in carico 532 ragazzi condannati per stupro e 270 per stupro di gruppo.
Ed è in questo contesto che si inserisce “CODICE ROSSO” .
Presentato il 25 ottobre dal ministro Bonafede, – insieme al ministro per la Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno e a Michelle Hunziker – il disegno di legge di modifica del codice di procedura penale in materia di violenza domestica e di genere raccoglie la proposta dell’associazione “Doppia difesa”. Il testo è all’esame della Commissione Giustizia della Camera e puntiamo all’approvazione all’unanimità in Parlamento.
Il progetto introduce un sistema di prevenzione chiamato “Codice Rosso”, che richiama a quello esistente nei pronto soccorso, in modo che le denunce per reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, avvenute all’interno delle mura domestiche vengano trattate con la massima urgenza e da personale qualificato.
Questo perché è’ fondamentale che lo Stato agisca non solo sulla repressione di questi reati, ma intervenga anche con una risposta immediata in caso di richiesta di aiuto delle vittime. Il tempismo è importantissimo in questi casi e bisogna intervenire prima che succeda l’irreparabile, proteggendo i cittadini, specie quelli
Cosa prevede quindi la nostra proposta governativa?
Con la nuova legge ci saranno procedimenti penali più snelli, senza fasi di stallo, che talvolta possono rivelarsi fatali per chi subisce le violenze.
– Per questo la polizia giudiziaria che riceve le denunce dovrà comunicarle immediatamente al PM, senza poter fare una valutazione sull’urgenza;
– la vittima dovrà essere sentita dai magistrati nei tre giorni successivi;
– se le indagini vengono delegate alla Polizia giudiziaria, questa dovrà darne la massima priorità, trasmettendo immediatamente la documentazione delle attività svolte al PM;
– si introduce un obbligo di formazione per le forze di polizia che trattano questo tipo di procedimenti, in modo che siano specializzati nella prevenzione e nella repressione e che abbiano una preparazione specifica all’interlocuzione con le vittime.
Quante volte la cronaca ci ha raccontato le storie di donne uccise dai propri compagni dopo aver chiesto l’aiuto delle forze dell’ordine, magari presentando una denuncia che poi è rimasta lettera morta? Con l’applicazione del “Codice Rosso”, questo non potrà più accadere, perché ciascuna notizia di reato; ogni grido d’aiuto lanciato da una donna in pericolo, sarà automaticamente trasmesso al magistrato, che si attiverà in tempi brevissimi.
Sappiamo che per ogni donna non è semplice venire allo scoperto e denunciare i soprusi che subisce, con questa legge lo Stato si fa avanti, tende una mano e si mette al suo fianco.
Per quanto riguarda invece la condizione lavorativa della donna, è ancora il contratto di governo che parla chiaro. Questo governo si è infatti impegnato a “introdurre politiche efficaci per la famiglia, per consentire alle donne di conciliare i tempi della famiglia con quelli del lavoro, anche attraverso servizi e sostegni reddituali adeguati”. Inoltre, si prevede “l’innalzamento dell’indennità di maternità, un premio economico a maternità conclusa per le donne che rientrano al lavoro e sgravi contributivi per le imprese che mantengono al lavoro le madri dopo la nascita dei figli”.
Prevista dal contatto anche la proroga della misura sperimentale “opzione donna” che “permette alle lavoratrici con 58-59 anni e 35 anni di contributi di andare in quiescenza subito, optando in toto per il regime contributivo”.
In questo contesto si inserisce l’Atto Camera: 522 – (presentata il 17 aprile 2018, annunziata il 18 aprile 2018) Proposta di legge: CIPRINI: “Disposizioni per il superamento del divario retributivo tra donne e uomini e per favorire l’accesso delle donne al lavoro” (522)
LINK alla proposta di legge.
Spiegazione: LINK al video:
Depositata da MARIA EDERA SPADONI: “proposta per far rientrare le donne vittime di violenza nelle categorie protette”. Con questa proposta di legge si ha intenzione di modificare la legge numero 68 del 1999, affinché anche le donne che abbiano subito violenze, già inserite nel percorso di protezione e di assistenza dai servizi sociali, possano rientrare nelle categorie protette. Per legge infatti le aziende che hanno dai 51 ai 150 dipendenti devono assumere 1 lavoratore che rientra nella tipologia delle categorie protette, mentre quelle che hanno più di 151 dipendenti una percentuale pari all’1%.
Secondo i dati ISTAT, nel 2017, quasi cinquantamila donne si sono rivolte a un centro anti violenza e il 59% ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza.
In base alla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia a giugno 2013, prevede l’obbligo per gli Stati di mettere in atto strumenti, anche di tipo finanziario, per l’assistenza nella ricerca di un lavoro per le vittime di violenza domestica. Le donne maltrattate hanno diritto ad essere tutelate e supportate dallo Stato, anche nell’inserimento nel mondo del lavoro. Dare lavoro significa dare una nuova prospettiva di vita e dare speranza.
Altri punti fondamentali sono:
•Potenziamento del bonus bebè: con un emendamento al decreto fiscale viene prorogato per il 2019 l’assegno previsto e si aumenta del 20% l’importo nel caso i figli siano più di uno. Alle famiglie, quindi, viene dato un assegno per ogni figlio nato o adottato dal 1 gennaio al 31 dicembre 2019. La quota è di 80 euro al mese fino a quando il bambino non compie 1 anno o, in caso di un bambino adottato, fino al primo anno del suo ingresso nel nucleo famigliare. In caso di figlio successivo al primo, la somma annuale passa da 960 a 1.152 euro. Il bonus bebè va alle famiglie con Isee fino a 25mila euro ed è raddoppiato per chi ha un Isee inferiore ai 7mila euro.
•Aumento di 500 euro il buono per il pagamento delle rette di asili nido, estendiamo la Carta famiglia (famiglie con tre figli a carico fino a 26 anni, non più 18), portiamo a 5 i giorni di congedo di paternità anziché 4; infine aumentato di 10 milioni il Fondo per le vittime di violenza. Per quanto riguarda le donne il Dipartimento pari opportunità metterà a disposizione nel 2019 33 milioni di euro. Non è vero chi scrive o dichiara che i fondi sono stati tagliati.
• Essendo diventati 5, e non più 4, i giorni di congedo di paternità. eleviamo a 5 giorni il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, che li potrà utilizzare entro i cinque mesi dalla nascita del figlio.
• Infine aumentp di 10 milioni il Fondo per le vittime di violenza. Per quanto riguarda le donne, il Dipartimento Pari Opportunità metterà a disposizione nel 2019 33 milioni di euro.
Opzione donna (provvedimenti pensionistici)
OPZIONE DONNA è stata approvata con il decreto legge n. 4 del 28 gennaio 2019. L’INPS ha già provveduto a pubblicare la circolare n. 11 del 29 gennaio 2019 per dettare le indicazioni in merito ai destinatari della norma, ai quali è attribuita la facoltà di conseguire il diritto alla pensione anticipata.
Con riferimento all’articolo 16 del citato decreto legge è stato riconosciuto il diritto alla pensione anticipata c.d. Opzione Donna “al perfezionamento, entro il 31 dicembre 2018, di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni ed un’età anagrafica non inferiore a 58 anni se lavoratrici dipendenti, ed a 59 anni se lavoratrici autonome, con il sistema di calcolo contributivo, conseguendo il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi 12 mesi, per le lavoratrici dipendenti, e 18 mesi, per le lavoratrici autonome, dalla maturazione dei prescritti requisiti, c.d. finestra “.
Questo quanto fatto finora, ma il nostro lavoro non può finire qui. L’Istat offre un quadro deplorevole della condizione lavorativa femminile, dimostrando dati alla mano, se non ce ne fossimo già accorti, come l’Italia non sia decisamente un paese per donne lavoratrici.
(per chi fosse interessato alcuni dati………….. approfondimento art 2)
APPROFONDIMENTI
IL LAVORO DELLE DONNE
L’Italia non è un Paese per donne lavoratrici.
Disoccupazione: nell’ultimo trimestre del 2016, secondo l’Istat, le donne disoccupate sono 1 milione 383 mila. Il tasso di disoccupazione, è quindi, pari al 12,7% cioè 1,9% in più di quello maschile.
Occupazione: Per quanto riguarda invece il tasso di occupazione (terzo trimestre), di fronte al 67% del tasso di occupazione degli uomini, quello delle donne è di 48,02% (fonte istat). Dato confermato anche dall’OSCE.
Tasso di inattività: Il tasso di inattività femminile è al 44,6% nel dicembre 2016, ovvero, quasi il doppio di quello maschile fermo al 24,9%.
In pratica, il numero assoluto di donne inattive in età da lavoro è di 8 milioni e 685 mila. Ricordiamo che gli inattivi sono persone scoraggiate che non cercano nemmeno più un lavoro.
Ricerca:
La situazione delle donne nel campo della ricerca è invece in crescita e superiore alla media europea. Mentre la media Europea, infatti, è di 33 ricercatrici donne su 100, la media italiana è di 36 su 100 ricercatori (ultimo dato disponibile fonte Eurostat). Inoltre, il numero di ricercatrici femminili è in aumento nel nostro Paese: nel 2000 erano 30 ogni 100.
Imprese create da donne:
Nel 2015 il numero delle imprese fondate da donne è cresciuto di 14.352 unità. Sono cresciute del 1,1% mentre le imprese italiane nel loro complesso sono aumentate dello 0,75%. Le imprese femminili iscritte al registro delle imprese è del 21,6%. Quasi il 13% di esse (171 mila) ha al comando donne di età inferiore a 35 anni.
Altri dati importanti:
Secondo l’OSCE, quindi, quasi 1 donna su 2 non lavora;
in regioni come la Sicilia, addirittura, la partecipazione al lavoro scende al 27%;
Gli ostacoli burocratici, il ridotto accesso all’istruzione superiore e le deboli tutele sul fronte di maternità e assistenza ai figli collocano l’Italia in fondo alla classifica dell’Ocse;
Al livello di Unione europea anche la Grecia fa meglio, mentre non stupisce che ai vertici ci siano sempre i paesi nordici;
La situazione migliora quando si analizza la presenza delle donne all’interno dei consigli di amministrazione, anche perché una legge impone che (a partire dal 2015) un terzo dei membri sia “rosa”. Il problema resta a livello manageriale: le donne vengono promosse meno e con più difficoltà degli uomini. E raramente occupano posizione di rilievo all’interno della struttura aziendale. L’Italia supera la media Ocse, invece, come numero di parlamentari donne. Un segnale che mostra una certa inversione di tendenza, ma che rischia di restare una primula rossa, se sul fronte del lavoro non arriveranno correttivi fondamentali e non più rinviabili all’alba del terzo millennio;
Livello salariale:
In media, in Italia, le donne incassano una retribuzione annua lorda di 26.725 euro, contro i 29.985 euro degli uomini: c’è un divario di 12,2 punti percentuali.
l’Italia è al 49esimo posto su 145 Paesi analizzati dal World Economic Forum nell’indice di disparità di genere. Ma per l’aspetto retributivo l’Italia è infatti alla casella 109, decisamente in fondo ma in risalita dal 128esimo dell’anno precedente;
Maternità e interruzione del lavoro:
Secondo l’ISTAT il 44,1% della popolazione femminile italiana tra 18 e 74 anni ha rinunciato a lavorare o non ha potuto investire nel lavoro per farsi carico degli impegni familiari. In particolare, nel 2005 le neomadri occupate che avevano lasciato o perso il lavoro era pari al 18,4 per cento. La percentuale è salita al 22,3 per cento nel 2012.
Più del 25 per cento delle donne con meno di cinquant’anni interrompe l’attività lavorativa per motivi familiari: per più della metà dei casi si tratta della nascita di un figlio. Nel 60 per cento dei casi le interruzioni del lavoro si prolungano per almeno cinque anni.
Nelle coppie con figli il 72 per cento delle ore di lavoro di cura in famiglia è svolto dalle donne.
Precariato e part time
Tra le lavoratrici, i contratti di tipo part time sono cresciuti dal 21 per cento nel 1993 al 32,2 per cento nel 2014.
Il 69,1 per cento degli uomini ha avuto un percorso standard, ovvero privo di contratti atipici (a progetto, collaborazioni occasionali), contro il 61,5 per cento delle donne. Questi dati sono relativi agli occupati con età compresa tra i 16 e i 64 anni e sono stati raccolti nel 2009.
Tra gli occupati, l’11 per cento delle donne ha un lavoro irregolare, cioè senza contratto, contro l’8,9 per cento degli uomini. Questi dati sono relativi alla media nel triennio 2010-2012.
Differenze di genere nonostante il titolo di studio
Le disparità di genere nel reddito degli occupati con età compresa tra i 58 e i 63 anni (dunque prossimi alla pensione) sono maggiori per i laureati: in media le donne in questa categoria guadagnano il 69 per cento di quanto guadagnano gli uomini. In questa fascia di età, tra gli occupati, il 26,5 per cento delle donne è almeno laureata, contro il 21 per cento degli uomini.
Nel nord Italia, tra gli occupati con età compresa tra i 58 e i 63 anni, le donne guadagnano in media il 79 per cento di quanto guadagnano gli uomini. Nel centro il 70 per cento, mentre nel Mezzogiorno le differenze sono minori e il reddito medio femminile è pari al 95 per cento di quello maschile.
STUDIO SUL LAVORO 2025
Lo studio commissionato dal M5S sul lavoro 2025 realizzato dal Prof. De Masi, insieme ad altri 11 esperti, ha anche studiato eventuali ipotesi future che riguarderanno la situazione delle donne nel mondo del lavoro. Ecco alcuni dei principali punti:
Condizione femminile
Nell’Italia del 2025 le donne vivranno sei anni più degli uomini. A livello mondiale, vivranno tre anni di più; il 60% degli studenti universitari, il 60% dei laureati e il 60% dei possessori di master saranno donne. Questo sorpasso renderà più acuta la concorrenza tra uomini e donne sui posti di lavoro, modificherà il ruolo del maschio dentro le mura domestiche,
consentirà alle donne di scalare tutta la piramide gerarchica delle organizzazioni; modificherà il clima complessivo delle aziende.
In un’economia legata ai beni relazionali quello della donna sarà un ruolochiave.
Il numero delle casalinghe (in Italia sono circa 5 milioni, di cui la metà nel Mezzogiorno). tenderà a diminuire perché aumenterà la richiesta di donne da parte delle imprese, perché in alcune famiglie il ruolo casalingo sarà svolto dai maschi in tutto o in parte e perché la crisi costringerà anche le casalinghe a cercare un lavoro retribuito.
Nel 2025 i giovani padri saranno più presenti nella gestione dei figli. Ma, nella divisione del lavoro domestico, il maggior peso ricadrà ancora sulle madri.
In Italia la legislazione sui congedi di paternità rimarrà carente rispetto ad altri paesi europei. I congedi di paternità vigenti saranno poco utilizzati dai maschi: per non perdere la possibilità di carriera in aziende orientate al solo profitto; per lo scarso prestigio e rispetto conferito ai compiti di educazione dei figli.
Rispetto a oggi, il 2025 avrà più donne in posizioni apicali sia nel lavoro che nei luoghi del potere. Però le stanze dei bottoni resteranno in larga parte affidate agli uomini.
A parità di occupazione ci sarà un aumento del differenziale salariale tra uomini e donne: le donne si vedranno costrette a fare lavori con paghe più basse.
In Italia, da qui al 2025, nonostante i progressi prodotti da alcune politiche di pari opportunità, persisterà una segregazione orizzontale riguardante l’ineguale distribuzione di genere in diversi settori occupazionali. Le donne predomineranno nei settori “femminili” e meno remunerati, saranno presenti in gran numero nel terziario (educazione e sanità), saranno meno presenti in altri settori come il metalmeccanico, l’artigianato, l’edilizia e il lavoro operaio specializzato.
Nel prossimo decennio, in Italia, per le donne permarrà una segregazione geografica. Vivere al Sud continuerà a rappresentare uno svantaggio maggiore rispetto agli uomini. Sia nella disoccupazione che nel lavoro nero la presenza femminile sarà più elevata.
In tutta Italia persisterà la segregazione di tipo verticale. Ci sarà uno scarso numero di donne ai vertici delle organizzazioni nelle posizioni di maggior prestigio, maggiore potere decisionale, retribuzioni elevate.
Particolari problemi incontreranno le donne italiane che vivono in nuclei mono-genitoriali (che già oggi superano i due milioni). Esse dovranno: sostenere l’intero menage familiare sia a livello organizzativo che economico; affrontare da sole paure, ansie, preoccupazioni legate agli inevitabili problemi incontrati nella crescita dei figli.
Normativa
Da qui al 2025 la legislazione italiana sulla maternità resterà immutata e proteggerà solo le lavoratrici tradizionali, ossia dipendenti a tempo indeterminato. Esse costituiranno la minoranza delle giovani donne che lavoreranno.
In Italia saranno poco o per niente tutelate dalla legge, in caso di maternità, le donne giovani, che avranno in larga parte contratti precari. Già oggi esse rappresentano circa il 43% delle donne italiane con meno di 40 anni e circa il 55% di quelle con meno di 30.
La situazione delle lavoratrici autonome con partita Iva (oggi più di un milione) sarà ancora più difficile: per esse fare un figlio significherà affrontare la possibilità concreta di perdere clienti e avere meno reddito proprio quando ne avranno maggiore bisogno.
A causa della scarsità dei fondi stanziati, nel 2025 solo il 3,5% delle madri potrà beneficiare dei voucher di circa 300 euro mensili (per pagare baby sitter o nido) previsti dalla legge Fornero 2012.
Occupazione femminile
In Italia la situazione delle donne rimarrà molto problematica; le italiane resteranno particolarmente lontane dalla parità con i maschi per quanto riguarda le posizioni lavorative di management e leadership; l’opportunità di guadagno nella vita, uguali paghe per uguale lavoro.
Tuttavia, da qui al 2025, le donne si affermeranno progressivamente nel mondo del lavoro riducendo il gap salariale e di qualifiche.
I settori dove ci sarà una crescita del numero di donne in posizione di potere saranno: il sindacato, la politica a livello nazionale e locale; le forze dell’ordine.
Ci sarà una lieve crescita di numero delle donne professioniste e tecniche.
Le donne faranno un maggior numero di lavori part-time.
Aumenteranno ulteriormente le famiglie monoreddito nelle quali guadagna solo la donna (prima della crisi erano meno di una su dieci; nel 2014 sono diventate una su otto).
Le donne italiane continueranno a fare il triplo del lavoro non pagato rispetto agli uomini. Molto lavoro domestico e di cura resterà non pagato.
In Italia, nel prossimo decennio, i tassi di natalità e di occupazione femminile rimarranno tra i più bassi in Europa per cui non peggiorerà la conciliazione tra la cura dei figli e il lavoro.
Le donne in Italia si troveranno a dover scegliere tra lavoro e maternità a causa della carenza di servizi di sostegno alla famiglia, di orari rigidi sul lavoro, di organizzazioni poco flessibili nelle aziende.
Nel prossimo decennio continuerà a essere sempre molto difficile per le madri – in particolare per le più giovani e le meno scolarizzate – rientrare nel mondo del lavoro dopo una gravidanza.
La donna in azienda
Nel 2025, mentre a livello di società il processo di parificazione tra i generi sarà in fase avanzata, nelle imprese non migliorerà più di tanto.
Nel prossimo decennio, donne e uomini, pur godendo di una maggiore libertà sessuale e potendo più di prima rivelare apertamente il proprio orientamento sessuale, come eterosessuali, bisessuali, lesbiche o transgender, continueranno a incontrare resistenze e pregiudizi nel mondo aziendale.
In azienda le donne resteranno orgogliose della loro differenza.
Il fenomeno di parificazione sarà visibile nelle imprese che godono di una certa libertà di decisione mentre nelle imprese con vincoli cogenti (ristrutturazione, finanziarizzazione,
uscita dal debito, ecc.) il genere avrà poca possibilità di incidere e prevarranno le logiche di potere tradizionali.
La maternità continuerà ad essere un momento critico nel rapporto tra dipendente e datore di lavoro. Si moltiplicheranno i casi di mobbing.
Saranno pertanto pochissime le esperienze aziendali in cui le donne potranno far valere il proprio potere.
Valori e stile
Il riconoscimento in ambito sociale di maggiori diritti per le donne, i gay, le lesbiche, i transessuali, si rifletterà specularmente anche nello sviluppo di modelli organizzativi d’impresa orientati: al rispetto delle singole individualità, alla eliminazione di situazioni discriminatorie.
Anche se la leadership esercitata dagli omosessuali e dalle donne non condurrà a mutamenti rivoluzionari, tuttavia le diversità di orientamento sessuale ammorbidiranno la gestione manageriale.
Anche se, nell’Italia del 2025, continuerà a mancare una trasformazione qualitativa aziendale legata e/o corrispondente alle categorie del gender, tuttavia la leadership esercitata da una donna o da un omosessuale, rispetto a quella esercitata da un uomo sarà più creativa e più gradevole.
Le donne e gli omosessuali manager dimostreranno maggiore disponibilità: al cambiamento, all’ideazione, all’equità, alla felicità, a un rapporto diverso con il lavoro.
Le donne, gli omosessuali, i transessuali saranno capaci di reinventare l’organizzazione e di realizzare un’azienda più bella e più umana. Si parlerà di nice company: più bella, più etica, più concorrenziale, più morbida, dove si lavora meglio, che attrae le migliori risorse.
Le donne porteranno nel mondo del lavoro la loro maggiore avversione alla diseguaglianza.
Il ruolo della gestione al femminile, dove prevarrà, sarà capace di maggiore adattamento e creatività.
L’universo femminile offrirà al mondo del lavoro nuove prospettive, grazie alle innegabili e diverse caratteristiche di cui ciascuna donna è portatrice.
Le donne al potere offriranno un buon bilanciamento degli interessi in gioco e un probabile cambio di rotta nelle modalità di approccio dei lavoratori nel mondo del lavoro.
Nel mondo politico
Nonostante i numerosi ostacoli, molte donne in politica riusciranno a conciliare lavoro e famiglia, a mantenere alti livelli di autoefficacia e di empowerment, a diffondere la loro visione della politica, percepita come una sfida per il miglioramento della qualità della vita, porre una maggiore attenzione alla dimensione simbolico-affettiva, istaurare rapporti più diretti con gli elettori (primarie, blog politici ecc.).
Ci saranno più posti di consiglieri femminili nei consigli di amministrazione delle società a seguito della legge 120/2011, che ha introdotto in Italia l’obbligo temporaneo di rispettare un’equa rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate e delle partecipate pubbliche.
Nei prossimi anni l’Italia supererà la media internazionale per numero di donne in parlamento e numero di donne ministro. Aumenteranno anche i comuni con donne sindaco.
Nella 2025, mentre i politici perseguiranno valori orientati all’edonismo, al desiderio di potere e di sicurezza, le donne in politica avranno più interesse al bene comune.
La maggior parte delle “donne-politico” esprimeranno valori femminili evitando di mascolinizzarsi in un contesto culturale dominato da valori maschili.
Senza differenze significative, come in genere fanno le donne comuni, donne di destra e sinistra, elette a cariche locali e nazionali, con compiti legislativi ed esecutivi in città grandi e piccole, al nord, al centro e al sud: perseguiranno maggiormente valori di benevolenza e universalismo; tenderanno all’auto-trascendenza; si occuperanno del benessere degli altri, della natura e del mondo; si sentiranno gratificate dal riuscire a “portare a casa” risultati concreti; criticheranno i media che rafforzano una eccessiva personalizzazione della leadership politica.
Le donne in politica dovranno affrontare comportamenti ostili da parte dei colleghi maschi. Soprattutto i leader maschi intermedi saranno in forte competizione con le colleghe per accaparrarsi posizioni di rilievo.
Quote Rosa: Il M5S, in linea di principio, non è favorevole alle quote rosa. Quello che bisognerebbe fare è cambiare la cultura di questo Paese, ma imponendo le quote rosa non si risolve il problema. Il M5S, per quanto riguarda i gruppi parlamentari, senza l’imposizione delle quote rosa è ampiamente composto e partecipato dalle donne.